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domenica 28 ottobre 2007

BIRMANIA: LA POLITICA DELL'IPOCRISIA

Nessuna notizia dalla Birmania. I giovani monaci sono calmi nelle loro celle, o sono morti. Ma le parole sono arrivate fino a noi: La poesia di Aung Than and Zeya Aung (condannati a 19 anni di prigione per aver pubblicato un libro di poesie intitolato “Dawn Mann” (Lo spirito combattivo del pavone); e la volontà ferrea del giornalista U Win Tin, (detenuto dal 1989), che crea l'inchiostro dalla polvere dei mattoni delle pareti della sua cella e scrive con una penna fatta da una stuoia di bambù, all'età di 77 anni. La rivolta dei monaci e della popolazione è una grande lezione di dignità e di libertà. Che onore portano all'umanità con la loro lotta; e che vergogna portano a noi nell'ovest la cui ipocrisia ed il silenzio contribuisce ad alimentare il mostro che tiranneggia da 45 anni la Birmania. L'ipocrisia di quelle figure politiche nell'ovest democratico, che dichiarano di sostenere la lotta Burmese di liberazione. Viene in mente Condoleezza Rice. "Gli Stati Uniti", ha detto, "sono determinati a mantenere l'attenzione internazionale su ciò che sta avvenendo in Birmania". Di certo però è meno desiderosa di mantenere l'attenzione sopra l'enorme azienda americana, la Chevron, sul cui consiglio d'amministrazione è seduta, fa parte di un consorzio con la giunta e l'azienda francese Total, che opera nei giacimenti di petrolio nel mare aperto della Birmania. Il gas da questi campi è esportato attraverso una conduttura che è stata costruita con i lavoratori forzati e la cui costruzione ha coinvolto Halliburton, di cui il vice presidente Cheney era direttore esecutivo. Da decenni il mondo sa che molti villaggi birmani sono veri e propri campi di concentramento dove si scavano a mani nude i rubini, i diamanti e la giada venduti nei mercati di Singapore, Seoul, Pechino, Amsterdam o New York, dove si costruiscono col lavoro forzato i gasdotti e le dighe per rifornire di energia le industrie di Bangalore, Kunming e Bangkok. La Birmania è un paese pieno di risorse (gas naturale, petrolio, diamanti), oltre ad essere in una posizione chiave: anello di congiunzione tra India, Cina e il Sud est asiatico ha catalizzato su di sé gli interessi economici di molti paesi che, aggirando l'embargo imposto al regime, lo hanno finanziato chiudendo un occhio su diritti umani, lavoro forzato, sfruttamento minorile, traffico di esseri umani, repressione brutale. Per molti anni, il Foreign Office a Londra ha promosso il commercio come consueto in Birmania. In Gran Bretagna, oggi la linea ufficiale di pubbliche relazioni è cambiata, ma non la sostanza. I Britannici fanno un tour delle ditte come Orient Express e Asean Explorer, riuscendo a realizzare un ottimo profitto sulla sofferenza della gente Burmese. E quando Brown o Blair hanno fatto qualcosa per richiamare e rimproverare quelle aziende britanniche che fanno i soldi sulle spalle del popolo Burmese? L' Acquatic, una specie di mini-Halliburton, la Rolls Royce e ad altre che usano il teck Burmese. E sulle armi, quando c'è stato il sostegno incondizionato al Trattato globale Onu sul commercio di armi, per bloccare le scappatoie del rifornimento di armi in Birmania? Il motivo è più che evidente. Governi come quello britannico è in se uno dei principali fornitori di armi del mondo.
Purtroppo, defenestrare il cosiddetto Consiglio di Stato per la Pace e lo Sviluppo (SPDC) nome Orwelliano della micidiale dittatura militare, non è una priorità in Asia. Alcuni dei vicini del Myanmar hanno belle parole su un'ideale Myanmar democratico, ma pochi sono preparati sacrificare il vantaggio economico o politico per incoraggiare la democrazia. ASEAN, l'Associazione delle Nazioni Asiatiche Sudorientali, ha richiamato Myanmar a smettere di uccidere i suoi cittadini, ma ha rifiutato di applicare le sanzioni o sospendere l'insieme dei membri del Myanmar. Anche se la La Repubblica Popolare Cinese (PRC) è il big cahuna della regione, con pretese di direzione internazionale, di fatto non è giusto puntare il dito solo su Pechino. Nei giorni in cui i monaci venivano arrestati e picchiati, la vecchia alleata Cina spinta dagli Usa a chiedere blandamente ai generali di non esagerare con l’uso della violenza non era la sola a bloccare una risoluzione di condanna delle Nazioni Unite. La dittatura Burmese ha molti sostenitori, fiancheggiatori dalla sua parte. Per cominciare, l'azienda di Stati Uniti Chevron, con la sua filiale Unocal, la Texaco rimangono attive in Myanmar. Inoltre, le sanzioni di UE sono limitate. Fra le ditte europee attive in Myanmar oltre alla compagnia petrolifera francese Total c'e quella di telecomunicazione Alcatel. Altre grandi aziende straniere che fanno il commercio in Myanmar includono Suzuki del Giappone e Daewoo del Sud Corea. Anche se la Cina rappresenta circa un terzo delle importazioni del Myanmar, un quinto viene dalla Tailandia; Singapore, la Malesia ed il Sud Corea sono altri soci economici significativi. L'azienda statale elettrica Egat progetta di costruire le dighe in Myanmar. Dopo sulla lista c'è l'India, seguita dalla Cina, dal Giappone e dalla Germania. Nessuna di queste nazioni sembra pronta sacrificare i suoi interessi punire lo SPDC. L' ASEAN, composto di dieci Stati con un P.I.L. collettivo vicino ai trilione dollari, è un giocatore regionale significativo. Ha pubblicato una dichiarazione che esprime "repulsione" verso la repressione brutale delle recenti proteste, ma non farà nient'altro.
E’ il crudo contesto economico e geopolitico che ha condizionato e forse condizionerà anche in futuro la sorte dei 50 milioni di birmani, karen, shan, karenni, kachin e mon, per citare alcune delle innumerevoli etnie coinvolte senza troppe speranze in una guerra contro 400 mila uomini armati e motivati dai benefici concessi alle truppe fedeli.
Le migliaia di oppositori, monaci buddisti, uomini e donne scesi in piazza per la dignità del loro popolo e l'esempio Aung San Suu Kyi sono una grande lezione non solo per il regime ma per il mondo intero, dove una Comunità Internazionale spesso compiacente indifferente e soggiocata da interessi economici. Basta guardare la lista di aziende presenti in Birmania che forniscono in qualche modo supporto all’attuale governo: si, ci sono anche compagnie Italiane che magari nascondono interessi più grandi.
fonte: Guardian

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