No, non correggetemi. So esattamente che ci stiamo avvicinando al quinto, non il il sesto anniversario, nel momento in cui, il 20 marzo 2003, George W. Bush diceva al popolo americano e al mondo:
"Miei concittadini, in queste ore, le forze americane e della coalizione sono nelle prime fasi delle operazioni militari per disarmare l'Iraq, per liberare il suo popolo e per difendere il mondo da un grave pericolo… Miei concittadini, i pericoli per il nostro paese e per il mondo saranno superati. Difenderemo la nostra libertà. Porteremo la libertà agli altri e noi prevarremo ".
"Miei concittadini, in queste ore, le forze americane e della coalizione sono nelle prime fasi delle operazioni militari per disarmare l'Iraq, per liberare il suo popolo e per difendere il mondo da un grave pericolo… Miei concittadini, i pericoli per il nostro paese e per il mondo saranno superati. Difenderemo la nostra libertà. Porteremo la libertà agli altri e noi prevarremo ".
In quel momento, di certo, i missili cruise servivano a "decapitare" il regime di Saddam Hussein, ma questo uccideva solo civili iracheni, che erano sulla loro strada a Baghdad.
Poniamoci adesso, nello spirito della recente richiesta del senatore John McCain, rivolta al popolo americano, di non fissarsi sulle origini della guerra in Iraq, ma guardare in avanti. "In merito alle differenze col Senatore Obama sull''Iraq", ha detto,"Voglio che sia molto chiaro: si tratta di decisioni che non devono essere prese 'nel passato'. Si tratta di decisioni che un Presidente dovrà prendere 'per il futuro' in Iraq. E la decisione di ritirarsi unilateralmente dall' Iraq porterà al caos".
Poniamoci adesso, nello spirito della recente richiesta del senatore John McCain, rivolta al popolo americano, di non fissarsi sulle origini della guerra in Iraq, ma guardare in avanti. "In merito alle differenze col Senatore Obama sull''Iraq", ha detto,"Voglio che sia molto chiaro: si tratta di decisioni che non devono essere prese 'nel passato'. Si tratta di decisioni che un Presidente dovrà prendere 'per il futuro' in Iraq. E la decisione di ritirarsi unilateralmente dall' Iraq porterà al caos".
Il futuro, non il passato, è il mantra, ed è il motivo per cui ho tralasciato del tutto il quinto anniversario della guerra in Iraq, la prossima settimana. Ora, proiettandoci nel futuro:
Il 20 marzo 2009, data del sesto anniversario dell'invasione dell'Iraq di Bush, così come è certo che il sole sorge ad Oriente io sarò seduta qui e ci saranno ancora molte decine di migliaia di truppe, una sfilza di principali basi militari e una massiccia forza aerea in quel paese. Nel frattempo, più americani saranno stati feriti o uccisi; molti più iracheni saranno stati feriti o uccisi; ci saranno più caos e conflitti, molti più missili e bombe lanciate e molti più attacchi suicidi. E l'Iraq continuerà ad essere un inferno sulla terra.
La previsione è, solitamente un rischio. È sempre possibile che non sarò seduta qui (o in qualsiasi altro luogo, se è per questo), il 20 marzo 2009. Purtroppo, quando si tratta della posizione americana in Iraq, a meno di un intervento dal cielo, il sesto anniversario della guerra di George Bush sarà molto simile al quinto. Per cominciare, possiamo di certo scrivere dei prossimi 10 mesi, fino al 20 gennaio 2009, giorno dell'insediamento del prossimo Presidente. Sappiamo che, lo scorso autunno, il Segretario della Difesa Robert Gates stava considerando di portare la forza delle truppe americane in Iraq fino a 100,000 entro la fine del secondo termine di George Bush. Tuttavia, questa era solo, come amano dire a Washington, “best case scenario”, lo scenario nel "migliore dei casi".. Il Presidente Bush è restìo al ritiro anche modesto di truppe americane. Quando lascerà l'ufficio, sembra probabile che ci saranno almeno 130.000 truppe americane nel paese, circa lo stesso numero che c'era prima, nel febbraio 2007, che la strategia "surge" di Bush ha sbattuto dentro. Inoltre, negli ultimi anni, anche la forza aerea statunitense è "surged" in Iraq e continua a farlo, mentre in quel paese altre mega-basi statunitensi continuano ad essere costruite. Per quanto ne sappiamo, non ci sono piani per invertire nessuno di questi sviluppi dal 20 gennaio 2009. Nessun candidato presidenziale li ha ancora messi in discussione. Qualsiasi "miglior piano d'azione" di ritiri attuato, resta sul posto la versione di Iraq creata durante mesi di "surge", un'instabile combinazione di piani e desideri sunniti, sciiti, curdi, americani e la carneficina irachena che rimane fuori dalle prime pagine dei giornali americani. Il più grande successo del "surge" è stato in termini di pubbliche relazioni. C'è improvvisamente una percezione che le cose stiano andando meglio in Iraq; di fatto, sono migliori soltanto in termini di stragi.
Immaginiamo un bambino nato il 20 marzo 2003, quando Baghdad è stata colpita, avrà l'età per andare in 1° prima elementare, il sesto anniversario della guerra di George Bush . Lui, o lei, è passato dal balbettare al parlare, dal gattonare a camminare, e poi eventualmente iniziare a leggere e scrivere. Naturalmente, un bimbo iracheno nato in quel giorno, che è riuscito a vivere per vedere il suo sesto compleanno, potrebbe essere tra gli oltre due milioni di iracheni in esilio in Siria o altrove in Medio Oriente, o tra i milioni di profughi interni scappati dalle loro case negli ultimi anni e di certo non a scuola. (Amnesty) (Allo stesso modo, un bambino nato il 7 ottobre 2001, quando il Presidente americano ha spedito bombardieri per colpire l'Afghanistan, sarà in seconda nel marzo del 2009; naturalmente, sette anni e mezzo dopo essere stato "liberato", un bambino Afghano, in particolare uno che ora vive nella parte meridionale di quel fallito narco-stato, è improbabile che sia a scuola. Come con l'Iraq, si potrebbe fare ipotesi sulla situazione in Afghanistan, un anno da adesso che sarebbe peggio delle parole.) Le Nazioni Unite hanno valutato che mezzo milione bambini iracheni sono morti durante i più di 12 anni di sanzioni economiche che hanno preceduto l'invasione USA di marzo 2003, soprattutto come conseguenza di malnutrizione e di malattia. Un recente rapporto dell'organizzazione Save the Children, mostra che l'Iraq continua ad avere la più alta mortalità per i bambini sotto cinque anni. Dalla prima Guerra del Golfo, questa è aumentata del 150 per cento. Si stima che un bimbo su otto in Iraq muore prima del quinto compleanno: 122.000 bambini sono morti solo nel 2005. L'Iraq ha una popolazione di circa 25 milioni. Per quei bambini, i veri eredi dell'era della guerra di Bush, che non è ancora finita, la guerra d'Iraq essenzialmente è stata l'equivalente di una pena detentiva con poca speranza di libertà per buona condotta; per alcuni Americani e molti Iracheni, compreso i bambini, è una sentenza a morte senza speranza di perdono. Tutto questo per un paese che, anche per gli standard dell'amministrazione Bush, non ha mai presentato la minima minaccia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti d'America. Solo questa settimana, un "esaustivo", studio del Pentagono, su 600,000 iracheni catturati, ha confermato, ancora una volta, che non ci sono legami operativi di sorta tra il regime di Saddam Hussein e al-Qaeda.
Con quei bambini in mente, quel che è più deprimente è quasi nessuno ha fatto un passo al di fuori dal convenzionale pensiero politico americano sull'Iraq, motivo per cui è possibile immaginare il 20 marzo 2009 con una certa fiducia.
Naturalmente, la più recente soluzione di Washington, l'occupazione militare infinita di terre straniere, “non risolve„ niente. Le possibilità di un reale miglioramento in Iraq o in Afghanistan sotto la gestione militare degli Stati Uniti sono probabilmente zero.
Il 19 marzo 2010, la data del settimo anniversario dell'invasione dell'Iraq del Presidente Bush, così come il sole di certo sorgerà ad Oriente io sarò seduta qui e …
Il 20 marzo 2009, data del sesto anniversario dell'invasione dell'Iraq di Bush, così come è certo che il sole sorge ad Oriente io sarò seduta qui e ci saranno ancora molte decine di migliaia di truppe, una sfilza di principali basi militari e una massiccia forza aerea in quel paese. Nel frattempo, più americani saranno stati feriti o uccisi; molti più iracheni saranno stati feriti o uccisi; ci saranno più caos e conflitti, molti più missili e bombe lanciate e molti più attacchi suicidi. E l'Iraq continuerà ad essere un inferno sulla terra.
La previsione è, solitamente un rischio. È sempre possibile che non sarò seduta qui (o in qualsiasi altro luogo, se è per questo), il 20 marzo 2009. Purtroppo, quando si tratta della posizione americana in Iraq, a meno di un intervento dal cielo, il sesto anniversario della guerra di George Bush sarà molto simile al quinto. Per cominciare, possiamo di certo scrivere dei prossimi 10 mesi, fino al 20 gennaio 2009, giorno dell'insediamento del prossimo Presidente. Sappiamo che, lo scorso autunno, il Segretario della Difesa Robert Gates stava considerando di portare la forza delle truppe americane in Iraq fino a 100,000 entro la fine del secondo termine di George Bush. Tuttavia, questa era solo, come amano dire a Washington, “best case scenario”, lo scenario nel "migliore dei casi".. Il Presidente Bush è restìo al ritiro anche modesto di truppe americane. Quando lascerà l'ufficio, sembra probabile che ci saranno almeno 130.000 truppe americane nel paese, circa lo stesso numero che c'era prima, nel febbraio 2007, che la strategia "surge" di Bush ha sbattuto dentro. Inoltre, negli ultimi anni, anche la forza aerea statunitense è "surged" in Iraq e continua a farlo, mentre in quel paese altre mega-basi statunitensi continuano ad essere costruite. Per quanto ne sappiamo, non ci sono piani per invertire nessuno di questi sviluppi dal 20 gennaio 2009. Nessun candidato presidenziale li ha ancora messi in discussione. Qualsiasi "miglior piano d'azione" di ritiri attuato, resta sul posto la versione di Iraq creata durante mesi di "surge", un'instabile combinazione di piani e desideri sunniti, sciiti, curdi, americani e la carneficina irachena che rimane fuori dalle prime pagine dei giornali americani. Il più grande successo del "surge" è stato in termini di pubbliche relazioni. C'è improvvisamente una percezione che le cose stiano andando meglio in Iraq; di fatto, sono migliori soltanto in termini di stragi.
Immaginiamo un bambino nato il 20 marzo 2003, quando Baghdad è stata colpita, avrà l'età per andare in 1° prima elementare, il sesto anniversario della guerra di George Bush . Lui, o lei, è passato dal balbettare al parlare, dal gattonare a camminare, e poi eventualmente iniziare a leggere e scrivere. Naturalmente, un bimbo iracheno nato in quel giorno, che è riuscito a vivere per vedere il suo sesto compleanno, potrebbe essere tra gli oltre due milioni di iracheni in esilio in Siria o altrove in Medio Oriente, o tra i milioni di profughi interni scappati dalle loro case negli ultimi anni e di certo non a scuola. (Amnesty) (Allo stesso modo, un bambino nato il 7 ottobre 2001, quando il Presidente americano ha spedito bombardieri per colpire l'Afghanistan, sarà in seconda nel marzo del 2009; naturalmente, sette anni e mezzo dopo essere stato "liberato", un bambino Afghano, in particolare uno che ora vive nella parte meridionale di quel fallito narco-stato, è improbabile che sia a scuola. Come con l'Iraq, si potrebbe fare ipotesi sulla situazione in Afghanistan, un anno da adesso che sarebbe peggio delle parole.) Le Nazioni Unite hanno valutato che mezzo milione bambini iracheni sono morti durante i più di 12 anni di sanzioni economiche che hanno preceduto l'invasione USA di marzo 2003, soprattutto come conseguenza di malnutrizione e di malattia. Un recente rapporto dell'organizzazione Save the Children, mostra che l'Iraq continua ad avere la più alta mortalità per i bambini sotto cinque anni. Dalla prima Guerra del Golfo, questa è aumentata del 150 per cento. Si stima che un bimbo su otto in Iraq muore prima del quinto compleanno: 122.000 bambini sono morti solo nel 2005. L'Iraq ha una popolazione di circa 25 milioni. Per quei bambini, i veri eredi dell'era della guerra di Bush, che non è ancora finita, la guerra d'Iraq essenzialmente è stata l'equivalente di una pena detentiva con poca speranza di libertà per buona condotta; per alcuni Americani e molti Iracheni, compreso i bambini, è una sentenza a morte senza speranza di perdono. Tutto questo per un paese che, anche per gli standard dell'amministrazione Bush, non ha mai presentato la minima minaccia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti d'America. Solo questa settimana, un "esaustivo", studio del Pentagono, su 600,000 iracheni catturati, ha confermato, ancora una volta, che non ci sono legami operativi di sorta tra il regime di Saddam Hussein e al-Qaeda.
Con quei bambini in mente, quel che è più deprimente è quasi nessuno ha fatto un passo al di fuori dal convenzionale pensiero politico americano sull'Iraq, motivo per cui è possibile immaginare il 20 marzo 2009 con una certa fiducia.
Naturalmente, la più recente soluzione di Washington, l'occupazione militare infinita di terre straniere, “non risolve„ niente. Le possibilità di un reale miglioramento in Iraq o in Afghanistan sotto la gestione militare degli Stati Uniti sono probabilmente zero.
Il 19 marzo 2010, la data del settimo anniversario dell'invasione dell'Iraq del Presidente Bush, così come il sole di certo sorgerà ad Oriente io sarò seduta qui e …
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